COMMENTO AL MIO ARTICOLO PSICOFARMACI E SUICIDIO PER IMPICCAGIONE
La mia personale esperienza con gli psicofarmaci mi ha portato a riflettere a lungo sugli effetti destabilizzanti che sono in grado di innescare.
Ho iniziato il mio percorso con un primo tentato suicidio (meditato per mesi).
Incontro quindi il magico mondo degli antipsicotici (Risperdal) che, nel giro di poco, mi hanno portato ad uno spegnimento fisico e psichico che sembrava divorarmi. Ricordo ancora la fatica mentale nel dover parlare, pensare, leggere anche solo un semplice sms e, al contempo, la frustrazione nel percepire lo stato di totale abbandono ed appassimento in cui versavo.
Un paio di mesi e sono passato agli antidepressivi. Con questi (Laroxyl), ho ripreso gradualmente vigore, spirito di iniziativa, freschezza mentale e voglia di fare.
Ma in tutto questo notavo qualcosa di artificioso, di forzato. Ogni tanto mi accorgevo infatti di compiere delle azioni con eccessiva allegria e spensieratezza, quindi mi fermavo e mi dicevo: "Cretino, che cavolo hai da ridere, che sei invece un groviglio di infelicità?".
I miei problemi di fondo non trovavano soluzione e, nel frattempo, questa sensazione di pompaggio forzato dell'umore mi irritava e il percepire di non essere totalmente padrone del mio stato emotivo mi mandava ulteriormente via di testa.
Provai a sospendere di colpo la terapia. Mi vengono i brividi al sol pensiero: nel giro di 2 giorni mi trovai in uno stato di disperazione e malessere psicofisico che avrei ingerito all'istante una granata pur di esplodere e porvi fine.
-- MAI, e dico MAI, prendere decisioni sulla propria terapia senza aver consultato chi ci segue.
Nel frattempo, con rinnovata e lucidissima razionalità, avevo ripreso a pianificare il secondo tentativo di suicidio.
La sera prestabilita sono serenamente uscito con un amico, abbiamo cenato, parlato, scherzato. Una situazione irreale, se ci ripenso, ma allora mi sembrava tutto normale: ora torno a casa e mi uccido.
L' "assunzione impropria" di farmaci mi ha regalato il terzo ricovero in psichiatria.
Lì, ai miei familiari ed ai dottori comunicavo quotidianamente che dovevano mettersi il cuore in pace e che, appena uscito, avrei portato a compimento il mio proposito.
Ho iniziato il mio percorso con un primo tentato suicidio (meditato per mesi).
Incontro quindi il magico mondo degli antipsicotici (Risperdal) che, nel giro di poco, mi hanno portato ad uno spegnimento fisico e psichico che sembrava divorarmi. Ricordo ancora la fatica mentale nel dover parlare, pensare, leggere anche solo un semplice sms e, al contempo, la frustrazione nel percepire lo stato di totale abbandono ed appassimento in cui versavo.
Un paio di mesi e sono passato agli antidepressivi. Con questi (Laroxyl), ho ripreso gradualmente vigore, spirito di iniziativa, freschezza mentale e voglia di fare.
Ma in tutto questo notavo qualcosa di artificioso, di forzato. Ogni tanto mi accorgevo infatti di compiere delle azioni con eccessiva allegria e spensieratezza, quindi mi fermavo e mi dicevo: "Cretino, che cavolo hai da ridere, che sei invece un groviglio di infelicità?".
I miei problemi di fondo non trovavano soluzione e, nel frattempo, questa sensazione di pompaggio forzato dell'umore mi irritava e il percepire di non essere totalmente padrone del mio stato emotivo mi mandava ulteriormente via di testa.
Provai a sospendere di colpo la terapia. Mi vengono i brividi al sol pensiero: nel giro di 2 giorni mi trovai in uno stato di disperazione e malessere psicofisico che avrei ingerito all'istante una granata pur di esplodere e porvi fine.
-- MAI, e dico MAI, prendere decisioni sulla propria terapia senza aver consultato chi ci segue.
Nel frattempo, con rinnovata e lucidissima razionalità, avevo ripreso a pianificare il secondo tentativo di suicidio.
La sera prestabilita sono serenamente uscito con un amico, abbiamo cenato, parlato, scherzato. Una situazione irreale, se ci ripenso, ma allora mi sembrava tutto normale: ora torno a casa e mi uccido.
L' "assunzione impropria" di farmaci mi ha regalato il terzo ricovero in psichiatria.
Lì, ai miei familiari ed ai dottori comunicavo quotidianamente che dovevano mettersi il cuore in pace e che, appena uscito, avrei portato a compimento il mio proposito.
Così però non è stato.
Il motivo? Non potrò mai esserne certo ma probabimente è stato perchè, vista la situazione, i medici alzarono bandiera bianca, sospesero tutti i farmaci (a parte una dose molto bassa di benzodiazepine) e mi confessarono tutta la loro impotenza davanti alla monoliticità del mio pensiero.
Questa situazione mi ha riportato così nuovamente a stretto contatto con la realtà che mi circondava, dove le mie emozioni ed i miei pensieri non erano più filtrati dalla chimica.
Dopo le dimissioni ho passato mesi davvero strazianti, riflettendo spesso su quale albero potesse essere il più adatto per impiccarmi, ma fortunatamente riappropriandomi anche di me stesso, dei miei pianti, dei miei sorrisi e di tutti gli altri stati d'animo veicolati dal mondo che abbiamo intorno.
Non credo di esserne ancora totalmente uscito, nei momenti di particolare angoscia difatti penso spesso a quella "soluzione", ma forse sono riuscito ad elaborare uno sguardo armonico e consapevole tale da poter rendere, spero presto, la mia vita serena. Continuando ad assumere psicofarmaci credo proprio non sarei mai risucito in questa operazione, seppur lenta, di messa a fuoco della mia esistenza.
Ho conosciuto parecchie persone in cura psichiatrica. Ad alcune di queste vedo assumere quantità esorbitanti di psicofarmaci... mi chiedo sempre come siano potuti arrivare ad un piano farmacologico così devastante e, contestualmente, mi viene tristemente da pensare che non ne potranno più uscire.
Al contempo ne vedo altre a cui magari basterebbe della buona psicoterapia piuttosto che le pilloline, ma né loro né chi gli sta intorno hanno la forza di cambiare le cose.
Ciò che ho scritto vuole essere una semplice testimonianza. Il campo in questione è talmente delicato e complesso che sarei un irresponsabile a svendere la mia esperienza come esempio o indicazione per gli altri.
Nel mio caso ho dovuto però constatare che:
- gli antipsicotici mi hanno portato in depressione
- gli antidepressivi hanno rinforzato le ideazioni suicidarie
- le benzodiazepine portavano alla dipendenza
Detto ciò, spero però che tra le righe si possa percepire quali siano le immense potenzialità ricostruttive di cui è capace la mente umana, sempre se libera e capace di analizzare ed autoanalizzarsi.
A.
Il motivo? Non potrò mai esserne certo ma probabimente è stato perchè, vista la situazione, i medici alzarono bandiera bianca, sospesero tutti i farmaci (a parte una dose molto bassa di benzodiazepine) e mi confessarono tutta la loro impotenza davanti alla monoliticità del mio pensiero.
Questa situazione mi ha riportato così nuovamente a stretto contatto con la realtà che mi circondava, dove le mie emozioni ed i miei pensieri non erano più filtrati dalla chimica.
Dopo le dimissioni ho passato mesi davvero strazianti, riflettendo spesso su quale albero potesse essere il più adatto per impiccarmi, ma fortunatamente riappropriandomi anche di me stesso, dei miei pianti, dei miei sorrisi e di tutti gli altri stati d'animo veicolati dal mondo che abbiamo intorno.
Non credo di esserne ancora totalmente uscito, nei momenti di particolare angoscia difatti penso spesso a quella "soluzione", ma forse sono riuscito ad elaborare uno sguardo armonico e consapevole tale da poter rendere, spero presto, la mia vita serena. Continuando ad assumere psicofarmaci credo proprio non sarei mai risucito in questa operazione, seppur lenta, di messa a fuoco della mia esistenza.
Ho conosciuto parecchie persone in cura psichiatrica. Ad alcune di queste vedo assumere quantità esorbitanti di psicofarmaci... mi chiedo sempre come siano potuti arrivare ad un piano farmacologico così devastante e, contestualmente, mi viene tristemente da pensare che non ne potranno più uscire.
Al contempo ne vedo altre a cui magari basterebbe della buona psicoterapia piuttosto che le pilloline, ma né loro né chi gli sta intorno hanno la forza di cambiare le cose.
Ciò che ho scritto vuole essere una semplice testimonianza. Il campo in questione è talmente delicato e complesso che sarei un irresponsabile a svendere la mia esperienza come esempio o indicazione per gli altri.
Nel mio caso ho dovuto però constatare che:
- gli antipsicotici mi hanno portato in depressione
- gli antidepressivi hanno rinforzato le ideazioni suicidarie
- le benzodiazepine portavano alla dipendenza
Detto ciò, spero però che tra le righe si possa percepire quali siano le immense potenzialità ricostruttive di cui è capace la mente umana, sempre se libera e capace di analizzare ed autoanalizzarsi.
A.
RISPOSTA
Buongiorno A.,
che cosa posso dire davanti a una testimonianza di questo spessore, giocata tutta sulla propria pelle?
Mi inchino a Lei, che è riuscito, seppur parzialmente a "uscirne".
Mi permetto, come sempre, di dire la mia.
Sono un sostenitore della potenza rigeneratrice del corpo umano, allorquando gliene venga data la possibilità.
Sono d'accordo che non bisogna mai sospendere le terapie psicofarmacologiche in maniera brusca e incosciente.
Ma, al contempo, è quasi unanime il pensiero degli psichiatri di dire: "Se stai bene con il farmaco, perché smetterlo?", e quindi questo comporta un incatenamento a vita agli stessi.
Dovrebbero poter sorgere, come proposto da alcune persone con cui sono in contatto, e come da sempre lo penso anche io, dei centri igienistici dove una persona sotto psicofarmaci possa disintossicarsi a zero farmaci e con il supporto medico per le emergenze.
Dove si venga instradati a un'alimentazione vegana, il più crudista possibile, e dove vengano scandagliate tutte le cause organiche, psicologiche, ambientali all'origine dei disturbi psichiatrici che si manifestano.
Se ne esce eccome dai disturbi mentali. Ma mai con le terapie "convenzionali".
No comments:
Post a Comment